Torna indietro a: Critica
Denuncia e grido nell'arte di Lia Garofalo
di Alberto Valentini

La scelta dei poveri come compagni rimane l'atto più importante della mia vita (I. Silone) Mai finora, nelle tante mostre ed esposizioni realizzate, Lia Garofalo aveva affrontato il tema della violenza sui bambini, sugli esseri più innocenti e indifesi. Di fronte a tale dramma, peraltro così diffuso, c'è in lei una forma di atavica idiosincrasia, un rifiuto viscerale, quasi l'incapacità a descriverlo e tanto meno illustrarlo. Nessuno avrebbe potuto immaginare che proprio lei si sarebbe curvata su questa tragedia e vi avrebbe profuso la sua straordinaria carica umana e spirituale per denunciarla, gridando con tutta la forza di cui una donna è capace. L'iniziativa per tale impegno - non solo artistico - non è certo venuta da lei, ma dalla Fondazione Ignazio Silone, e direttamente dall'allora Presidente Domenico Susi, che le propose d'illustrare una mostra itinerante sui diritti umani negati e in particolare sulla violenza nei confronti dei bambini. L'invito la colse di sorpresa e l'adesione fu particolarmente tormentata. Tale proposta significava che la sua arte, ben nota ed apprezzata, non solo in Abruzzo, sarebbe stata messa al servizio di un problema di grande impatto sociale: non a caso il giornalista Aldo Forbice - che tanta attenzione dedica a questa realtà - per illustrare uno degli ultimi suoi libri-denuncia aveva optato per l'arte della Garofalo. Un simile impegno, tuttavia, richiedeva una partecipazione così intensa e diretta da segnare profondamente la psiche e il cuore dell'artista: più volte ella è stata sul punto di rinunciare; alla fine ha prevalso il dovere di testimoniare, di documentare e di gridare. La denuncia e il grido, tuttavia, non sono sufficienti: è necessario aprire varchi alla speranza, lottare per progetti alternativi, rendere credibili le utopie di un umanesimo e di una spiritualità responsabili del mondo. Di tali valori è imbevuta l'arte e prima ancora l'esistenza di Lia Garofalo: il suo impegno umanitario, come per Silone, "è murato in certezze cristiane". In tale prospettiva anche la sofferenza più disperata ed assurda è attraversata da misteriosi presentimenti di vita e di potenziale riscatto. Al servizio di questo impegno di denuncia e di fede in un futuro - che o sarà diverso o non sarà - Lia Garofalo ha messo la sua arte. L'ispirazione artistica su temi così scottanti non può certo essere astratta o accademica: deve assumere forme concrete, provocare la riflessione, contestare e stimolare le responsabilità. La poetica dell'artista abruzzese, solitamente iconica e descrittiva, attratta dallo splendore della vita e dei paesaggi, qui si fa aspra ed essenziale, ma con tonalità nettamente diverse nei due cicli pittorici, dedicati rispettivamente alla denuncia e al grido di fronte alla violenza. Nel primo ciclo sfilano immagini desolanti di bambini-soldato, fanciulli denutriti, schiacciati dalla sofferenza, spaventati, dal corpo mutilato e dalla psiche sconvolta. L'artista li ritrae con acquerello e acrilico dall'effetto smorto, a renderne più desolante la tragedia: sono dieci pagine di un tristissimo libro che intende mostrare, denunciare, coinvolgere. Il colore di fondo, in ogni pagina, fa da contrappunto a una vita descritta morente. Nel secondo ciclo protagonisti sono ancora i bambini, gli stessi: la medesima matita li ritrae, con acquerello e acrilico, ma con aggiunta la tempera che mescolando i colori crea un forte impatto. Qui il cuore sanguina, il dolore esplode incontenibile; il pennello, intriso di viola e rosso-sangue, imbratta violento il pianto sui muri e grida la disperazione, invoca giustizia... si appella a Dio, capace di ridare la vita. Non a caso, la serie delle toccanti immagini si conclude con un verde tenero solcato di rosa e infine con l'incendio di fuoco e giallo oro; all'orizzonte si intravedono i cieli nuovi e la terra nuova, l'utopia che non può e non deve deludere: il futuro di una diversa umanità.

d