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Volumetrie dello Spirito in divenire
di Antonio Gasbarrini

A ridosso dei cicli di Metafisiche maree e Cieli Nuvole Fumi, questo terzo 'racconto pittorico' di Volumetrie dello spirito di Lia Garofalo, viene a completare una sorta di trilogia visuale narrativa in cui colore e forma, o meglio, singole tele o tavole dalle infinite, cangianti forme in divenire di un colore con trapassi ora tonali, ora timbrici, assurgono ad aforisma, sentenza imbevuta di forti contenuti etici. Ed il procedere per cicli, così congeniale all'artista abruzzese, consente lo svisceramento della tesi di fondo (religiosa e cristiana nel caso specifico) che sta a monte dei singoli stimoli creativi, il cui impulso è di volta in volta sollecitato ed alimentato da una sorta di premessa (il titolo dell'opera) attorno a cui prenderà poi consistenza l'immagine finale. Un procedimento compositivo e poetico, questo, assai vicino ai cicli, alle storie quattro-cinquecentesche di un Piero della Francesca di La leggenda della croce in Arezzo, di un Mantegna dei gonzagheschi Trionfi di Cesare a suo tempo a Mantova, di un Raffaello delle Stanze Vaticane a Roma. Solo che, mentre il referente letterario urbanistico-biblico a cui attingevano questi ultimi era il medium principale della successiva invenzione bloccata in via prioritaria nel disegno e negli studi preparatori (e proprio Raffaello insegnerà in proposito), adesso è lo 'specchio rotto' di frammenti psico-esistenziali a riflettere questo o quell'episodio di un intricato vissuto soggettivo affidato all'immediatezza 'fabulatoria' di una dirompente gestualità quasi scaraventata su una superficie pittorica in cui vengono a coesistere, coabitando, forza e debolezza, verità ed errore, vita e morte, dialetticamente rapportabili. Ma alla tesi nichilistica di fondo di un pensiero contemporaneo della Modernità attestato prevalentemente sulla distruzione sistematica della 'storia dei valori' (si ripercorra, in ambito estetico, l'avventura novecentesca delle avanguardie storico e neo, Futurismo in prima linea), l'artista abruzzese prova a contrapporre quello della persistenza del Magistero cristiano-religioso, la cui luce (etica, si ripete) viene felicemente a combinarsi sulla tela con quella microfisica della luce naturale, dando origine a divenienti forme dalla forte accentuazione plastica. Qui irrobustite da una ricca gamma cromatica spaziante e spazializzante con bianchi, grigi, azzurri, ocra, verdi, gialli, viola, neri e rossi (prevalenti in questa o quella tela), quasi che l'irruenza di una instabile cromia riesca meglio a garantire le polimorfe sollecitazioni interiori. Così in Tota pulchra, Sepolcri imbiancati, Chiara e Francesco i bianchi prevalgono su grigi e azzurri, in un lento, pacato fluire di masse soffici e leggere, mentre i più laicizzanti monoliti della paura e dello smarrimento di Violenza, Fiore del male, Confusione - nella loro granitica incombenza - annunciano il massivo contrappeso di Giudizio divino: molto efficaci, in questo dipinto scultorizzato, risultano le parallele fasce diagonali di linee-forza prementi dall'alto in basso, dal Cielo alla Terra. I toni, prevalentemente freddi e metallici di questi quadri, sono quindi smembrati dall'esplosione cinerea di Libero Arbitrio, ove un annerito squarcio centrale (evocante forse le sembianze del Male) tende a separare l'unitarietà, la compattezza originaria di un Bene in parte già disperso nei vaganti lacerti dello sfondo. Ma al di là delle intenzioni metaforiche dell'autrice, conta in questi lavori la piena maturità estetica di una forma linguisticamente affrancata da secolari condizionamenti iconici: un esempio in tal senso è certificato da Narciso, in cui un giallognolo corpo-nube è vagamente riflesso in un liquido cielo-acqua, senza alcuna necessità di una rigorosa, specchiante simmetria. Altri titoli, nell'eloquente fraseggio formale e pigmentale di Silenzio, Grazia, Povertà- castità-obbedienza, ci riconducono con la levità delle loro masse nella sfera della dimensione religiosa (rinuncia e preghiera), adesso esaltata da una Presenza (divina) che costituisce un po' l'antifrasi visuale - con la sua cromia calda giallo-oro navigante su uno scenario rosseggiante - dell'incupito Giudizio divino commentato più sopra. Più legati a cadute e lacerazioni personali d'origine psichica devono essere i laceranti bagliori rossastri di Inferno, in cui il timore della pena di una sofferenza eterna è pressocheacuta riscattato ed addolcito dai lucori di slarganti bianchi, trionfanti, poi, nel saldo dipinto ovoidale su tavola di Purificazione. Può chiudere idealmente il nostro soggettivo percorso di lettura, // testimone, tela di dimensioni più impegnative, in cui una massa centrale chiamante in causa cuore e sangue di martiri che hanno donato in sacrificio la loro vita per gli altri pur di non rinnegare una fede non scalfibile, è in alto, sulla destra, attorniata da sfiocchettati tocchi di colore evocanti lo stordente profumo di petali di rosa dispersi dal vento. Ma come ogni 'narrazione polittica' che si rispetti, alcune deviazioni tematiche dal nucleo portante delle Volumetrie dello spirito, sono individuabili nei due subcicicli-predelle di Dio-Tempo-Storia e le Età dell'uomo. Nel primo di essi, costituito da un trittico, la materia cromatica, prima baroccheggiante ed arruffata, si distende per dare un maggiore peso metafisico ed astronomico allo Spirito che è bene ricordarlo, nella sua radice etimologica originaria, sta per respiro, pneuma. In Dio-Tempo-Storia I e 2, il colore si fa più decisamente espressionistico, con una tripartizione orizzontale della superficie pittorica (nero abbastanza compatto in alto ed in basso, con una zona mediana in cui dominano stilature bianco-giallognole) ed una irregolare massa rosso-fuoco in alto sulla sinistra che spazialmente si sposta come se fisicamente passasse dalla prima alla seconda tela (lo scorrere del tempo?). In Dio-Tempo-Storia 3 lo sfilacciamento orizzontale delle masse si fa più evidente nella dichiarata fusione di albe e tramonti perfettamente integrati nel loro amicale abbraccio esistenziale dalla cosmica valenza. Il secondo subciclo dedicato alle Età dell'uomo (Infanzia, Giovinezza, Maturità e Vecchiaia), rimanda visivamente alla struttura geometrica semicircolare delle lunette affrescate nelle chiese romaniche. Ma a livello di linguaggio, non è più una figurazione medioevale, rinascimentale o barocca ad evocare il lento declino della vita, bensì un'armonica trama aniconica affidata alla semplice evocazione, per assonanza, del colore dominante: rosa per Infanzia, azzurro per Giovinezza, rosso per Maturità, rosso-giallo e bianco per Vecchiaia. Ed accanto alla predominanza cromatica un ruolo fondamentale gioca la diversa tensione energetica presente sulla superficie: libera ed aerea in Infanzia e Giovinezza, decisa, salda e compatta come un melograno in Maturità, slabbrata, flebile e disgregata in Vecchiaia. L'immediata familiarità instaurabile con queste tele mormoranti il loro substrato poetico ora con la disincanta tranquillità di una soffice neve che da un momento all'altro può trasformarsi in valanga, ora con il nervoso andare di un ruscello pronto in ogni istante a tracimare, deriva dallo stretto raccordo in esse esistente tra psiche e natura, forma e gesto, immagine e colore. Un raccordo della semplicità e della povertà, di matrice francescana se vogliamo, in cui il credo religioso è il pretesto, l'antefatto di una concezione della vita e del mondo imperniata fondamentalmente su un valore più arcaico ed ecumenico, quello del sacro. E come l'opera d'arte perde la sua aura una volta deconstestualiz-zata dal tempio per cui era stata dall'artefice concepita (W. Benjamin), così queste tele di Lia Garofalo mantengono il loro senso più intimo e profondo solamente se fatte confluire all'interno della ricerca estetica moderna e contemporanea, che, dopo le certezze tolemaiche medioevali, ha inserito anche nell'Arte il virus del 'dubbio periferico' copernicano di una Terra non situata più al centro del Cosmo. Non per questo l'afflato panico con la Natura intesa nella sua ampia eccezione è venuta meno: anzi! Le Volumetrie dello spirito, erranti nella loro perenne trasformazione cromatica di un impaginato pittorico basico, indicano - pur nella precarietà delle loro alternanti luci ed ombre - una delle vie autoreferenziali praticabili per la ricerca di un autenticità dell'essere che solo la strenua lotta tra l'artefice e l'opera sa indicare.

Fonte:

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