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Metafisiche Maree
di Antonio Gasbarrini

Nell'Universo come opera d'arte (titolo felicissimo di un recente libro dell'astronomo John D. Barrow), le maree sono una delle prove fondamentali del moto incessante degli "oggetti celesti" (dal più piccolo asteroide alla più grande galassia) nonch&eacuta della reciproca attrazione gravitazionale. La percezione del subitaneo cambiamento del "paesaggio" disegnato, dipinto e scolpito dal rapporto dialettico acqua-terra, ci rende partecipi del continuo divenire eracliteo ("Il tempo e la marea non aspettano nessuno"), e, per esso, dei cambiamenti più radicali intervenuti nelle familiari forme naturali. Forme che nell'unitario ciclo-installazione Metafisiche Maree di Lia Garofalo (34 tele di cm. 100x70, cinque delle quali costituite da dittici, e tutte dipinte tra il '98 ed il '99), esaltano con il medium di un colore opacizzato dall'uso di pigmenti terrosi per affresco, l'apparente immobilità delle parti in causa (mare-riva-cielo-luna-sole) o la dinamica rottura di un equilibrio precario. Stasi e movimento, rumore e silenzio, spazio e tempo, sono le coordinate principali delle non-realistiche Metafisiche Maree, esclusivo frutto mentale di una fantasia soggiogata dalle infinite metamorfosi di un colore plasticamente distribuito secondo la trama di sfrangiate fasce orizzontali dentro cui ora si libra, ora annega, l'artefice, il demiurgo del fenomeno (lo sferoide sole-luna, a volte raddoppiato sullo stesso quadro). All'interno del ciclo, una serie di episodi cromatici sottolineano la genesi e lo sviluppo formale delle maree, ad iniziare dalla tela bianca increspata con qualche tenue segno di grafite (MM 1), tela che nelle opere da MM 2 a MM 4, fa baluginare un po' di luce, e, con essa, una spazializzazione della superficie pittorica, appena accennata nei grigi e nei neri di rastremate pennellate date col contagocce. Qui, in questi notturni timidamente aperti al giorno, la marea abolisce ogni distinzione naturalistica del "paesaggio", fondendo in una sola, immateriale entità dotata di autonoma energia, l'essenziale valenza astrale delle parti in causa: n&eacuta terra, n&eacuta mare o cielo, n&eacuta tanto meno sole-luna, ma fluido, libero andare di masse sciolte, amalgamate nelle nebbie di un colore freddo, azzerato nel suo spettro. Ma ad iniziare da MM 6 e fino all'ultimo lavoro (MM 33-34), quello stesso colore, mai urlato, e perciò semplicemente sussurrato, si srotola e dispiega - come avviene con l'onda giunta finalmente a riva - quasi sempre con esasperata lentezza (tipica di ogni rappresentazione metafisica della realtà, rappresentazione necessariamente svuotata della componente temporale onnipresente in ogni fenomeno micro e macro fisico). Da qui deriva quella sorta di tranquillità, quasi disumana, rimbalzante da una tela all'altra, in parziale assonanza con la concezione estetica metafisica di De Chirico: "L'opera d'arte metafisica è quanto all'aspetto serena; dà però l'impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre quelli già palesi, debbano subentrare sul quadrato della tela". Del tutto assente è, infatti, l'effetto enigmatico, oracolare enunciato nell'ultima parte della frase ed aleggiante, come spirito maligno, tra le congelate architetture della pittura dechirichiana lontana mille miglia dagli oltremondani, caldi riverberi di Metafisiche Maree. Pertanto in questo ciclo-installazione non ci troviamo al cospetto di una logorata quanto tardiva e manierata riproposizione di una pittura metafisica ampiamente stagionata, ma di una concezione metafisica della pittura, il che è tutt'altra cosa. Si diceva del colore "opacizzato". L'aggettivo non tragga in inganno, in quanto la trasparenza delle velature rinascimentali ottenuta con successive stratificazioni del pigmento, è da Lia Garofalo rinnovata con la stessa tecnica praticata dagli antichi Maestri, aggiornata però con l'impasto di nuovi e diversi ingredienti chimici (alchemici potremmo dire). Da qui deriva quel senso di leggerezza che solo le piovigginose atmosfere rischiarate da un arcobaleno sanno donarci. E, a parte qualche eccezione (come avviene in MM 11), la "terrestrità" delle Metafisiche Maree è oltrepassata dal-l'"astralità" del fenomeno proposto in queste tele, "astralità" presente in tutto il Cosmo, anche se con modalità diverse da quelle usuali (si pensi alle maree "nelle e delle" stelle). La conquista di questo essenziale passaggio, è esemplificabile dal confronto sincronico delle opere MM 9 e MM 10. Mentre in MM 9 il referente naturalistico e paesaggistico di quella "terrestrità" persiste nella solidità delle masse imbevute di una cromia sospesa tra le gamme dell'alba e quelle del tramonto, in MM IO la dissolvenza della triade cielo-terra-mare è risolta nella continuità delle campiture, con una precaria linea d'orizzonte bluastra posta all'altezza dello sferoide, ibrida e androgina nel suo essere contemporaneamente mare-terra e cielo. Questa dissolvenza spaziale di confini e cesure prospettiche è ben visibile in MM 17 e MM 18 in cui l'avvicinamento o l'allontanamento della terra al cielo (rispettivamente alta e bassa marea) è neutralizzato (con l'approccio metafisico, e perciò trascendentale, perseguito dall'artista abruzzese) dalla disseminazione dei punti di fuga di blu, gialli, verdi e neri attratti irresistibilmente uno dall'altro, mentre lo sferoide naviga liberamente tra gli interstizi ed i varchi aperti per il suo imperterrito vagabondare. Il cinetismo, il dinamismo delle masse, fortemente sentito da un'artista gestuale come Lia Garofalo, - ed in un certo qual modo mortificato dalla camicia di forza metafisica atemporale sostenuta teoricamente da approfonditi studi filosofici - si ribella ad un certo suo appiattimento con l'empito e la forza delle trasparenze di bianchi e blu (onda-mare, ma anche cielo-nube di MM 19 e MM 29, pagg. 10-11) in cui il punto di massima espansione dovuto all'attrazione gravitazionale viene a coincidere con il momento d'inizio del deflusso della marea. Comunque è nei 5 dittici riprodotti in copertina (MM 33-34) e nella pagine finali del catalogo (MM 12-13, MM 22-23, MM 27-28, MM 30-31) che la componente fantasmatica ed un po' surreale di Metafisiche Maree conduce per mano il fruitore al di fuori del piccolo recinto terracqueo. Qui ed adesso, tra i lievitanti bianchi, azzurri e rosa (MM 27-28 e MM 30-31), o tra gli acchetati gialli, rossi, neri e arancioni (MM 12-13), o ancora tra le distese violacee di MM 22-23, non ci si sente più a casa, ma psicologicamente proiettati in una dimensione spaziale diversa. Le singole tele costituenti ciascun dittico sono come due finestre aperte sul nostro inconscio, Le cornici apparentemente delimitano e separano un'immagine unitaria. Invece è proprio la pausa frapposta alla percezione istantanea del tutto - grazie alla finta delimitazione delle due superfici - a suggerire al fruitore la chiusura degli occhi, per guardare simultaneamente nelle profondità dei proprio io e in quelle degli abissi siderali, se non altro per conciliare e rendere meno stridente la finitezza esistenziale con la paradossale espansione di un universo sempre più lontano ed infinito. Se questa insopprimibile istanza sia di matrice religiosa o laica non importa: conta, molto di più, la linfa pittorica scorrente in questi quadri in cui una luce diffusa nelle sue amalgamanti vibrazioni, un colore camaleontico nelle sue varie declinazioni ed una forma piasticamente puntuale nelle sue soffici masse, ci consentono di vedere - in modo originale, e forse per la prima volta - flussi e riflussi di Metafisiche Maree.

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