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Iconografie del tempo che scorre
di Leo Strozzieri

Nell'ultima mostra tenuta dall'artista abruzzese nell'ambito della I Rassegna Nazionale Arti Visive "Paganicaestate 1994", ove venne dedicato anche un omaggio a Remo Brindisi, fui sorpreso dal primato, che agevolmente si poteva dedurre da quasi tutte le opere esposte, attribuito al tempo, in linea con una visione "ideologica" -se così vogliamo chiamarla- attualissima del nostro secolo. Il tempo concepito non in modo accademico o purista e astrattamente scandito da misurazioni convenzionali; un tempo invece realistico e morente sulle cose, ove si pensi alla stagione autunnale ed un tempo finemente germinativo allorch&eacuta la tensione esplosiva della vita promette già immagini solari e capacità di estrinsecare un repertorio indefinito di vegetazione. Lia Garofalo nutre sentimenti autentici e sinceri per la natura ed ogniqualvolta progetta di scendere a dialogo con essa, ne tesse l'apologia con misurata progettazione, diffidando dalla prassi comune a tanti suoi colleghi artisti, secondo la quale la realtà va colta esclusivamente in una situazione di privilegio. E' questo forse un modo di mascherare l'impotenza a pervenire all'opera d'arte attraverso tematiche umili, riflessive, persino dolorose. Garofalo invece è sul versante opposto, consapevole che non l'esecuzione di un monumento costituisce cifra estetica, dal momento che opera magistrale per qualità è soltanto quella ricca del sentire universale. Le attribuzioni che lei fa, in sede dialogica con la natura, tema privilegiato della sua ricerca pittorica e grafica, sono tutte ben riconoscibili, in virtù proprio di questo "sentire universale", esperienze cioè che ogni individuo prova ma alle quali solo l'artista riesce a fornire quella fragranza tematica, che rende espressa una intuizione lirica. Si diceva dunque del primato del tempo nella sua pittura. E' grazie alla "religione del tempo" che Garofalo riesce a superare le secche del verismo, che - a ben riflettere - costituisce non un'esaltazione, ma una menzogna nei confronti della realtà. A questa, infatti, non giova sia evidenziata dall'artista l'aspetto epifanico o fenomenico, essendo intrinsecamente pregna di energia e verità, da tradurre sulla tela o sul foglio sotto l'impulso creativo. Nel nostro caso, Lia Garofalo propone per lo più scene paesaggistiche sì sormontate da strette esigenze visive, ma pervase da ogni parte d'una aura quasi di relativismo, dovuto al processo dello scorrere del tempo, inarrestabile, stampata quasi a sigillo della precarietà dell'essere. Che a fondamento del pensiero dell'artista vi sia la presa di coscienza "sul sentiero dell'incerto" (quindi della trasformazione) essere incamminata sia la natura che l'uomo", lo si evince da una delle poche opere non paesaggistiche dipinte da Garofalo, raffigurante un volto della nostalgia meditativa e riservata, eppur regale nella sua classicità, opera intitolata significativamente Mistero. Nell'elaborazione grafica, alla serena compostezza fisionomica del volto, fa riscontro un sopito abbandono allo sfaldamento di una monumentalità che, s'intuisce, preesiste, ma che nello svolgimento quasi piranesiano della traduzione segnica, perde a ritmo costante la sua concretezza per assestarsi entro il perimetro del quotidiano. Ma non è questo un linguaggio, che sebbene non ligio alle rivoluzioni formali del dopoguerra e distaccato dalle urgenze sociali proprie di ampi settori dell'arte iconica italiana, ha una sua puntuale modernità? Quando si dice che l'attimo presente prima che sia vissuto è già tramontato, impotenti come siamo a mantenere un assetto stabile al più elementare equilibrio di forze, a quale elaborazione di pensiero si fa riferimento, se non a quello debole, inciso profondamente nella nostra epoca? Ed è questa una lezione proposta non pedissequamente da Lia Garofalo, alla luce soprattutto della sua proiezione recente, nei soggetti di natura morta, nei paesaggi e negli stupendi acquerelli raffiguranti una sorta di campionario di foglie silenti nella superficie. Perch&eacuta ad un codice fornitole da richiami culturali contemporanei, che - come si è detto - consistono nella centralità del divenire rapido ed incessante, l'artista aquilana si avvicina con efficace sostrato grafico e cromatico, frutto di un appassionato studio dei classici, ivi compresi gli impressionisti e macchiaioli. Basta citare il pastello ovale Nostalgia del tempo, così come la composizione Estate, opere (in modo precipuo la prima) di rilevante impegno prospettico, che riconducono sul piano esecutivo ad esperienze della seconda metà del secolo scorso. I fitti tratteggi distribuiti nell'ovale rivelano l'anima eminentemente grafica di Garofalo, che in alcune composizioni al carboncino (Pineta d'Avalos, Madonna d'Appari, Stella di Natale, Composizione floreale), tutte riprodotte in catalogo, gioca fino a forzature chiaroscurali di grande impatto volumetrico. E' evidente la sua suggestione per i vedutisti veneti del '700, integrati con lo studio di Rembrandt e comunque le atmosfere notturne rendono questa volta le scene staticamente assorte in vera dialettica con la produzione precedentemente analizzata. Indubbiamente i criteri di visione sono in questo caso romantici ed in virtù delle campiture di colore scuro, si formano dei blocchi volumetrici (si veda Pinea d'Avalos) vagamente geometrizzati, quasi una inclinazione espressionista ignara, nella sua forza lussureggiante, della ferialità a cui Garofalo ci aveva abituati. E per tornare ad opere policromatiche, è doveroso spendere indicazioni di lettura sul suo ciclo dedicato alle foglie. Foglie, detriti del tempo; foglie campionario di solitudine a cui si dà rimedio con la solidarietà della giustapposizione ed il non spento vitalismo dei colori, resi sensuali dal recente rito di morte; foglie ove è possibile rinvenire indicazioni dialettiche: per un verso accorato inno elegiaco e parimenti memoria di una lotta tra la vita e la morte, sebbene sia stata quest'ultima a prevalere. Sono le sue foglie assetate di luce; non danno certo l'idea di essenzialità, poich&eacuta appaiono barocche per le flessuose nervature principali, da cui si diramano ventagli di segni in molteplici direzioni, a formare decorazioni fantastiche e reali allo stesso tempo. In questa personale eccitazione coloristica e segnica, è rappresentato il carattere espansivo e coinvolgente dell'artista Garofalo, sebbene non manchino in lei momenti di visionario ed ascetico silenzio: ne abbiamo un esempio nel dipinto Solitudine di luce, ove campeggia un albero immerso nel luminoso, tonale e metafisico meriggio, la cui ombra diviene visivamente fantasma assetato di luce che, a guisa di novello Tantalo, non è in grado di bere. Non mi pare sia lontano dal vero attribuire a quest'opera una profonda risonanza spirituale: una nota consona alla città di Assisi, che ospita, nella suggestiva sua cornice storica, la mostra di un'artista, a cui gli anni a venire di certo riserveranno nuove prospettive.

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