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Le fluttuazioni sugli scogli della psiche
di Leo Strozzieri

Da sempre i giochi della natura, maestosi e sublimi, o intimi e tendenti al lirismo, hanno affascinato Lia Garofalo, artista aquilana di rara finezza, sostenuta nella sua ricerca da un'assoluta urgenza etica che la spinge alla restaurazione di un linguaggio estetico che sia comprensibile al pubblico, al di là e al di sopra di ogni tentazione di sterili concettualismi, sui quali spesso tanti giovani artisti odierni, facendo il verso alle Neoavanguardie, amano giocare con il risultato di allontanare il pubblico dall'arte, come facilmente si può evincere dall'analisi in questi ultimi decenni di ricerca artistica in Italia. Due sono i punti di vista dialogici sui quali Garofalo insiste: innanzitutto quello dell'artista con la realtà esterna, con la natura, ed inoltre in fase di creatività quello dell'opera con il fruitore. Tale principio dialogico è ben visibile anche in questo interessante ciclo pittorico, che pur traendo spunto dalle fluttuazioni marine, investe la totalità dell'essere. Il vissuto marino non è quello di una visione diretta, bensi quello proposto dalla memoria con dei rafforzamenti dovuti proprio alla personalità dell'artista: in tal modo è resa possibile la trasfigurazione del vero. Sarebbe stato grave sul piano artistico se lei si fosse innamorata più della realtà che del ricordo vissuto di essa, in quanto sarebbero venute meno le componenti psicologiche dell'impatto io-natura, che rendono estremamente interessante questa suite di opere sul paesaggio marino. Garofalo aveva imprigionate nella sua mente certe sensazioni, nonch&eacuta personali emozioni generate al cospetto di uno dei fenomeni più affascinanti della natura, quello delle onde marine alla cui sublime forza poetica non è dato resistere. Visto senza i filtri culturali, il mare appare a Lia Garofalo appendice dell'io Quanto l'io, il mare è misterioso, intrigante, possente, connotato di enigmi a cui difficilmente si possono dare risposte plausibili in termini scientifici. Per questo carattere prevalentemente analogico al perimetro psicologico, l'artista aquilana si è sentita spinta a cimentarsi su questo tema, che diventa quindi quasi un'ombra della propria personalità. Sfruttando il potere della sua fantasia e coinvolgendo nella traduzione pittorica di questo fenomeno naturale, cioè le fluttuazioni marine, il proprio mondo interiore, Lia Garofalo non ha fatto altro che produrre un diario illustrato ove fossero scanditi i sentimenti, le passioni, le emozioni e i sogni irrealizzati e irrealizzabili. Dunque un ciclo pittorico di trenta opere inteso come diario spirituale assai ben documentato sulla personalità dell'artista impegnata a saggiare se stessa nell'interazione col mondo esteriore. Dall'analisi dei mezzi tecnici e linguistici emergono alcuni valori etici di indubbio spessore: la predilezione di colori terrosi, orchestrati in modo espressionistico sulla superficie, indica a chiare note come l'etimologia del suo carattere debba rapportarsi ad un inusitato vigore mentale e d'animo. Il dinamismo che si estrinseca dai flutti in modo circolare va letto come planimetria energetica della sua volontà. L'esecuzione pittorica che a volte risulta volutamente sommaria è indice di un procedimento minimalista, tipico di chi abbia a cuore soprattutto la sintesi delle cose, al riparo da eccessivi barocchismi linguistici o tentazioni decorative. Mi sembra poi che la sua pittura (e questo da sempre, anche quando trattava con grande originalità il tema delle foglie cadenti in autunno) sia tutta in preda al lievito dell'abbandono, risulta cioè essere spontanea ed intensamente sentita come se nel redigere le pagine di questo diario lei provasse una sorta di sensualità romantica: si avverte la tenera freschezza della creatività allo stato puro senza doglie di parto. Lo stesso disegno vigoroso e magistrale sta ad indicare come l'artista aquilana non faccia che esternare con relativa semplicità ciò che le è connaturato da tempo. Dunque le fluttuazioni, ciclo pittorico marino espresso con maestosità da una pittrice vissuta sempre all'ombra della maestosità del Gran Sasso; le tramature ideali di questo ciclo sono da un lato la volontà dialogica con la natura e dall'altro l'acquisizione nell'opera del significato metaforico del fenomeno naturale secondo una ricchezza interiore posta in essere con anni di riflessione profonda ed una seria meditazione sui grandi temi dell'esistenza. Le fluttuazioni, marine o della psiche, come indica il termine, per un verso sono flutti e per l'altro verso sono azioni. I flutti sono attivi e dinamici, in grado di organizzarsi secondo una millenaria e quasi mitica strategia gestuale voluta da una divinità marina. E son anche avviluppanti nel loro moto ondoso alla conquista di una modularità genesiaca dalle visibili istanze surrealiste con cui si propongono allo spettatore. I flutti intrisi di azioni inarrestabili portano la mente a considerare l'acqua, così come ogni altro elemento fisico, energetica e non più in preda al sonno della stasi: un attivismo quindi inconscio, sintetico e permanente, al di sopra delle contingenze di pause che pur sono necessarie in quanto prodromo della narrazione dei movimenti. Flutti e azioni che Lia Garofalo felicemente coniuga a livello pittorico e cromatico con sistematica perizia. C'è da evidenziare poi il rapporto interno-esterno dei flutti ed anche la temperie coloristica, nonch&eacuta l'acquisizione progressiva della componente materica e del chiarismo. Grande e palpitante è il disegno interattivo tra i vortici che si generano all'interno dei flutti e la loro estrinsecazione; per quanto concerne il colore, mai in esso — come ci saremmo aspettati - si dà libero sfogo alla timbricità pura che avrebbe significato anche una volontà decorativa ed una semplificazione della realtà percepita. Garofalo non semplifica ad esempio con il semplice colore azzurro la visione marina, poich&eacuta il mare richiama per analogia il proprio essere che per l'artista risulta essere complesso. Ecco perch&eacuta ci troviamo dinanzi ad un colore mosso, striato, denso e luminescente combinato da vibrazioni tonali per lo più basse: i cavalloni marini diventano nubi minacciose in movimento, latrici di un'atmosfera di tempesta e di passioni. Quanto poi ad una certa anamnesi informale, come risulta da una palese progettualità materica, si dovrà parlare addirittura di qualcosa di molto vicino al cosiddetto "Ultimo Naturalismo". La volontà dissacratoria nei confronti dell'immagine c'è, ma non spinta all'eccesso, vista la ricorrente leggibilità iconografica. Infine un discorso a parte merita il ruolo della luce nelle sue opere. Mai essa è meridiana ed apologetica, poich&eacuta la visione del mondo è per Lia Garofalo alquanto problematica. Comunque la luce affiora sempre in filigrana, quasi nel retro o meglio all'interno del mondo marino; purtroppo si avverte che la sortita delle tenebre è sempre possibile: questa è la problematicità del mondo interiore dell'artista, nonostante una sua fede incrollabile nell'ottimismo. Strano e dialettico il pensiero di Lia Garofalo a questo proposito: l'unica vera certezza esistenziale, quindi estremamente luminosa, è quella dell'io misterioso a se stesso e quindi è ovvio che il passaggio obbligato del buio costringe senza pausa ad un fitto interrogare-interrogarsi. A me sembra che il visitatore di questo ciclo di Garofalo, esposto in questa bella mostra aquilana, sia destinato a questo continuo interrogarsi, punto di partenza indispensabile per una presa di coscienza sul proprio destino e su quello degli altri.

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